L’emergenza internazionale, con assetti ed equilibri modificati dalla pandemia e amplificati dalla guerra russo-ucraina, ha fatto emergere tutta la nostra fragilità, in particolare per cibo ed energia. L’aumento dei costi energetici e delle materie prime si è accentuato con la guerra e impatta su tutta l’economia, agricoltura compresa, che affronta anche aumenti dei costi di mangimi e concimi, e che sta subendo i cambiamenti climatici estremi, dalle gelate alla grandine alla siccità.Con Danilo Misirocchi, presidente di Cia Romagna, approfondiamo alcune delle questioni che impattano sul mondo agricolo e, di conseguenza, sull’indotto e su ognuno di noi.
Il Governo ha riconosciuto lo stato di calamità naturale per siccità. Ora cosa serve?
Occorre andare in fretta oltre l’emergenza: proseguire con le infrastrutture, programmare un piano di nuovi invasi, con una strategia condivisa tra Governo, Regioni, Consorzi di bonifica e associazioni, con il mondo dell’agricoltura pronto a collaborare. In Romagna non partiamo da zero, abbiamo il Cer e in particolare nel ravennate alcuni invasi in collina. In altre zone la situazione è ben più problematica. Il riminese non ha una distribuzione irrigua: solo alcune parti della provincia possono attingere direttamente da falda e il Cer arriva solo fino a Rimini Nord. Occorrono risposte di lungo respiro: l’acqua, come sempre sostenuto da Cia, va conservata quando c’è.L’agricoltura della Romagna è fra le più virtuose nell’uso di acqua per irrigazione: grazie alle applicazioni tecnologiche si sa quando e come usarla e come usarla senza sprechi, in modo sempre più sostenibile.
È arrivata un’altra emergenza, le cavallette. Qual è la questione?
Non è disgiunta dalla situazione climatica. Stanno colpendo diverse zone della Romagna, in particolare nel forlivese-cesenate. La questione che Cia pone da tempo all’attenzione è l’abbandono delle aree interne, che genera squilibri ambientali: meno terreni lavorati, quindi meno manutenzione del territorio, ma anche meno animali da cortile, come le faraone, naturali antagoniste delle cavallette. Per evitare che il prossimo anno la situazione sia drammaticamente peggiore bisognerà lavorare anche i terreni incolti e abbandonati, zone di proliferazione degli insetti. È uno sforzo non di poco conto, ma necessario.
Il tema della fauna selvatica in generale desta preoccupazioni e danni. Qual è la situazione?
Apprezziamo il modo in cui a Ravenna, ad esempio, è intervenuto il Prefetto sul tema dei daini: in maniera pragmatica ha optato per il trasferimento di una quota di esemplari. Cia ha però qualche perplessità sull’efficacia di questa soluzione: la specie non è autoctona e oltre ai danni per l’agricoltura e al rischio per la sicurezza stradale, crea disequilibrio alle specie autoctone. Non dimentichiamo poi i cinghiali e il contenimento della peste suina, che fortunatamente al momento non interessa le nostre aree romagnole, ma l’attenzione deve restare alta.
Un’altra emergenza è la manodopera. I problemi quest’anno sono ulteriormente aumentati?
Serve una politica seria su più filoni, dalla gestione delle quote di ingresso degli extracomunitari, alla formazione, a un inquadramento occupazionale funzionale alla stagionalità dell’agricoltura. Occorre poi trovare alternative al reddito di cittadinanza, che genera storture imbarazzanti. È scandaloso che qualcuno rifiuti il lavoro per avere il sussidio pubblico, quando agricoltori che hanno lavorato una vita e versato i contributi ricevono una pensione di circa 650 euro al mese.
Sul versante della transizione ecologica cosa può dirci?
La nostra agricoltura è tecnologicamente avanzata ed è il settore che ha abbattuto di più l’impatto ambientale. A fronte di una popolazione mondiale in aumento e della richiesta di produrre più cibo, dobbiamo prendere atto che la transizione ecologica, se non vogliamo rimanere senza cibo, deve essere affrontata per mezzo della scienza, e non dell’ideologia, a garanzia della sicurezza alimentare.